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Il lavoro sulle melodie

Grazie al consiglio concorde di musicologi esperti, si è individuato il seguente criterio di fondo che permettesse di giungere ad una restituzione melodica con carattere di scientificità, ossia il più oggettiva possibile:

per ogni brano, si è scelto sempre un solo manoscritto e se ne è trascritta fedelmente la versione melodica,

senza apportare correzioni o interpolazioni provenienti da altre fonti.

Nella maggior parte dei casi (circa 2/3 delle antifone) è stata restituita la versione melodica di Hartker (manoscritto S. Gallo 390-391), unanimemente riconosciuto come il più autorevole manoscritto dell’Ufficio con notazione musicale, sia per la sua antichità — è la più antica fonte dell’Ufficio con notazione musicale, risalente agli anni 980-1011 — che per il valore della sua versione melodica e ritmica.

 

Per la restituzione delle melodie adiastematiche di Hartker ci si è avvalsi della consultazione e del confronto di una trentina di manoscritti diastematici provenienti da tutta Europa; tra i principali si annoverano: Karlsruhe 60 e SG 6, Aachen 20, Utrecht, Einsiedeln 611, Klosterneuburg 1012-1013, Metz 83, Benevento 21, Toledo 44.1 e 44.2, Worcester F 160, Saint-MaurdesFossés (Paris BnF lat. 12044), Saint-Denis (Paris BnF lat. 17296), Piacenza 65, Lucca 602, Firenze arcivescovado.

Nel caso in cui un’antifona non fosse presente in Hartker si è cercato di raccogliere il maggior numero possibile di fonti manoscritte e si è trascritta la versione melodica considerata migliore per rappresentanza dell’insieme della tradizione, per antichità e valore della tradizione di appartenenza, per qualità musicale in riferimento alla resa esegetica del testo.

In questi casi, tuttavia, vista la provenienza assai differenziata delle fonti, è stato necessario accettare un minimo di uniformazione delle trascrizioni, soltanto limitatamente ai contesti seguenti:

  1. correzione delle imprecisioni semitonali presenti in alcune fonti (soprattutto di area germanica, ma non solo), grazie al confronto con fonti in questo ambito notoriamente più precise, in particolare quelle di area beneventana e aquitana;

  2. uniformazione della cadenza dei modi I e VII nei casi di parole proparossitone: questa cadenza, che riceve frequentemente in Hartker e nelle fonti germaniche un pes ornamentale sulla sillaba postonica, in quelle dell’Europa occidentale conclude invece spesso in tono retto. Si è scelto di conservare quasi sempre, in questi casi, l’uso di Hartker e delle fonti di area germanica.

  3. qualche rarissima correzione si è ritenuta opportuna nel caso in cui il manoscritto prescelto si discosti per un dettaglio musicalmente non convincente da tutto il resto della tradizione manoscritta.

Studiando i Tonari antichi — Reginone di Prüm, Metz 351, Hartker, Gaillac — nel corso della preparazione delle melodie, ci si è accorti che esiste un gruppo di antifone la cui cadenza finale differisce da quella che il tono salmodico ad esse assegnato richiederebbe secondo la teoria dell’Octoechos. Dal momento che quasi sempre è possibile trovare qualche testimonianza diastematica, sebbene rara, a sostegno delle indicazioni dei Tonari, si è scelto di restituire la cadenza finale allo stato originario e, per evitare un errore nell’intonazione, si è aggiunta una piccola rubrica in corsivo al termine dell’antifona per ricordarne la particolarità; ad esempio, un’antifona con cadenza finale in re ma classificata in altro modo, recherebbe al termine una rubrica del tipo: A/ finitur I modo.

Per quanto riguarda gli inni, la melodia è stata scelta fra le trascrizioni raccolte da Bruno Stäblein nel volume di Monumenta Monodica Medii Ævi dedicato agli inni e tra quelle che si trovano nei tableaux dell’Abbazia di Solesmes preparati in vista dell’edizione dell’Antifonale monastico del 1934, dei quali è stata gentilmente concessa la consultazione. Nei casi in cui non è stato possibile individuare una versione melodica valida, si è conservata quella del Liber Hymnarius.

Nella trascrizione in notazione quadrata, si sono consapevolmente conservati i segni ritmici classici (punctum mora, episemi), perché li si è ritenuti validi ausili ai fini di una più corretta e concorde esecuzione ed ad una più penetrante interpretazione esegetica dei testi cantati nello spirito della tradizione ecclesiale, soprattutto per le comunità monastiche che non avessero la possibilità di accostarsi direttamente alle fonti manoscritte per trarne le indicazioni ritmico-agogiche necessarie per il canto.

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